Avevo raccontato dell'impatto della regina Margherita sull'immaginario collettivo popolare di fine '800 e del conseguente margheritismo che investì i costumi italiani dell'epoca, soprattutto quando, nel decennio 1880-90, la stampa ne fece una vera e propria icona da proporre ai recenti "Italiani" come modello di stile e di comportamento. A lei è dedicata questa tappa di Inseguendo l'arte da mangiare, il percorso che segue le proposte artistico-gastronomiche di Uffizi da mangiare e che oggi parla di regine ma insieme ci porta in Abruzzo.
E' infatti il busto in marmo che ritrae Margherita di Savoia l'opera scelta per parlare del legame tra cibo e arte. Si dice che quando lei vide il bozzetto che lo scultore verista Raffaello Pagliaccetti aveva scolpito ispirandosi ad una foto della allora principessa, fu talmente colpita dalla somiglianza che gli commissionò un ritratto dal vero rendendosi disponibile a posare per lui.
Il busto in marmo venne realizzato nel 1868, l'anno che la vide diciassettenne sposa del futuro re, ed è oggi esposto a Palazzo Pitti, quella che rappresentava allora la residenza ufficiale dei Reali, essendo Firenze al momento la capitale del giovanissimo Regno d'Italia. Alcune stanze degli Appartamenti Reali sono state conservate come allora, tra cui la camera di Margherita.
Il pizzaiolo campano Franco Pepe ha scelto quest'opera tra le molte esposte alle Gallerie degli Uffizi perchè ovviamente alla regina Margherita è dedicata la specialità gastronomica italiana forse più famosa nel mondo di cui lui è illustre esperto, la pizza margherita, che qui declina per l'occasione in versione "sbagliata", con cottura in forno con sola mozzarella e aggiunta finale di riduzione di pomodoro e coulis di basilico. Spiega tutto per bene nel suo originale video.
Al contrario di Pepe, io qui oggi non mi dedico a uno dei tanti prodotti che nell'arco degli anni sono stati intitolati dall'affetto popolare alla Regina Margherita, ne' a cosa avrebbe potuto lei gradire della cucina fiorentina dell'epoca nel periodo del ritratto scultoreo. Come in tutto questo mio percorso, mi concentro invece sull'artista: sebbene Pagliaccetti sia vissuto anche a Firenze, la maggior parte della vita la trascorse a Giulianova, dove era nato nel 1839 e dove tornò volentieri ad abitare quando, per ragioni di salute, gli fu consigliata l'aria di mare. Quindi: cosa si gustava dunque sulla costa teramana in pieno '800?
L'Abruzzo ha una storia intensa, variegata e complessa a seconda delle località, in genere poco conosciuta fuori dai suoi confini. L'area, ricca di reperti archeologici che testimoniano civiltà preistoriche, ebbe innumerevoli contatti con le popolazioni più diverse, comprese invasioni pre-romane, longobarde e ottomane, ma qui basti dire che, come altri territori normanni medievali, divenne parte del Regno di Sicilia e fu dunque dominata dagli Spagnoli, dai Francesi e infine dai Borbone di Napoli.
Ai Borbone la popolazione di metà '800 rimase in gran parte fedele durante il convulso periodo risorgimentale, tanto che i combattimenti contro i Piemontesi Savoia "invasori" continuarono per giorni anche dopo il 17 marzo 1861, giorno della proclamazione ufficiale del Regno d'Italia.
Gli Abruzzesi avevano costumi differenti tra costa ed entroterra ed anche tra valle e valle, ovviamente anche in campo alimentare; in generale se l'interno montuoso si dedicava all'allevamento ovino e alla produzione casearia, nelle valli si allevava bestiame e si confezionavano salumi mentre sulla costa era la pesca la fonte primaria di sostentamento. In ogni caso ad '800 inoltrato erano evidenti ovunque le tracce delle tradizioni gastronomiche meridionali più recenti del Regno delle due Sicilie, come la pasta, il pomodoro e il peperoncino.
Tutti gli Abruzzesi, inoltre, condividevano la comune passione per le panarde, le rare ma grandi mangiate delle feste dove in una sequenza interminabile di portate (minimo una ventina ma più spesso trenta e più) si elaboravano piatti articolati, con i diversi prodotti locali e con presenza sempre anche di verdure di stagione, conserve, pollo e dolciumi. Sembra che la antica e consolidata fama internazionale dei cuochi abruzzesi, specie di quelli provenienti da Villa Santa Maria, sia nata proprio da questa sapiente arte di creare piatti prelibati da materie prime semplici.
Alla tradizione dei lunghi pranzi celebrativi accennavo quando parlavo di D'annunzio, delle sue passioni per la pasta alla chitarra e per le uova, e dei suoi tentativi di sottrarsi agli inviti che prevedevano tale abbondanza di libagioni. Chissà invece che cibi prediligeva il raffinato scultore Raffaello Pagliaccini, con il suo gusto per il dettaglio e con il suo cuore affaticato.
Si potrebbe ipotizzare che cercasse per questo piatti dai sapori interessanti ma leggeri nella sostanza e di semplice digestione? Ipotizziamolo, e dunque serviamogli una ciabbotta, ovvero un piatto di verdure miste estive che, a seconda del momento del pasto, degli ingredienti effettivi e delle quantità servite, oggi può fare da antipasto, da contorno, da piatto unico ma anche da sugo per la pasta, da condimento per dei crostoni e chi più ne ha più ne metta!
Preparazioni simili, per sostanza e per nome, sono presenti praticamente in tutto il Sud Italia e fin su nelle Marche. Nello stesso Abruzzo ogni località ed ogni famiglia si può dire ne abbia una propria versione: sempre presenti cipolle, pomodori, zucchine, peperoni e sedano, a volte ci sono anche melanzane (ma le si vedeva ancora con sospetto nell'800), fagiolini, carote e/o patate, a volte profuma di solo basilico altre di tutte le erbe dell'orto, a volte il soffritto accoglie anche aglio, a volte peperoncino ed a volte anche guanciale.
Sembra che la preparazione si originaria della Puglia, tanto che in alcuni luoghi prende anche il nome di tiella abruzzese, e che l'abbiano "importata" (ma allora era uno Stato unico!) i pastori abruzzesi al rientro dalle transumanze. Il piatto si prestava ad essere preparato con quello che c'era a disposizione nell'orto o a basso costo al mercato, e per questo è diventato un classico contadino, che ci si portava come pranzo nei campi, accompagnato con fette di pane e, se andava bene, con pezzi di formaggio, spesso reso più sostanzioso con l'inserimento delle patate.
Il nome varia in ogni luogo con varie declinazioni (ciambotto, ciabbotte, ciabotta, ciabbotto, giambotta, giabotta...) ma le ipotesi sono che derivino tutte dai termini ciambotta pugliese o cianfotta campano; però chi rivendica l'origine locale del piatto, o per lo meno la sua revisione in chiave aprutina, ne attribuisce l'origine dal pescarese abbottare cioè riempire, oppure al teramano ciabbotto, ciccione. In ogni caso il sottinteso è sempre quello che si tratti di un piatto saziante.
Con le proporzioni degli ingredienti mutabilissime da versione a versione (chi mette pari pezzi per ogni varietà, chi pari peso, chi a gusto...) e con una densità più o meno brodosa (che da composto compatto a stufatino sugoso finisce a volte persino in zuppa), tutte le varianti di ciabbotta abruzzesi hanno la caratteristica regionale di ricorrere poco o per nulla alla frittura e di privilegiare la cottura delle verdure a stufato.
Cosa che di certo faceva gioco alla dieta controllata del Pagliaccini, per cui scelgo la strada lineare della cottura lenta e umida nel coccio, che la tradizione vorrebbe alto per preservare non solo gli aromi ma anche la giusta temperatura di servizio. Per le proporzioni tra verdure mi affido agli insegnamenti di una gentile signora di Giulianova.
CIABBOTTA DELLO SCULTORE
ingredienti per 4 persone come antipasto/contorno:
2 zucchine, circa 300 g
2 pomodori maturi, circa 250 g (i miei erano pallidini e ho aggiunto mezzo cucchiaio di concentrato)
1 peperone giallo-verde, circa 200 g
1 melanzana lunga, circa 200 g
1 patata media, circa 170 g
2 manciate di fagiolini o una di taccole (come qui), in tutto circa 150 g
1 cipolla da circa 150 g
1 gambo di sedano con le foglie
2 rametti di basilico
1 peperoncino intero
2 o 3 cucchiai di olio extravergine di oliva
sale
pane rustico a fette, per servire
Tritare grossolanamente le cipolle e le foglie di sedano e ridurre tutte le altre verdure a cubetti (uguali se si uniscono una per volta secondo i tempi di cottura, patate e sedano più piccoli, come qui, se si unisce tutto insieme).
Rosolare dolcemente le cipolle nel tegame di coccio con l'olio e, quando sono morbide, unire le altre verdure e saltare qualche minuto, mescolando spesso perchè si insaporiscano in modo uniforme.
Unire il peperoncino, un rametto intero di basilico, le foglie del sedano, verificare che ci sia un filo di acqua sul fondo e se non è sufficiente quella rilasciata dalle verdure eventualmente aggiungerne un mestolino. Salare, coprire e lasciar stufare a fuoco basso per circa 45 minuti, controllando che ci sia sempre un filino di liquido sul fondo.
Quando le verdure sono tutte belle morbide levare il coperchio, far eventualmente consumare il fondo a gusto ma lasciando sempre un pochino di sughetto, quindi aggiungere le foglie del basilico rimasto, regolare se serve di sale e spegnere.
Lasciar intiepidire la ciabbotta per una decina di minuti, eliminare il peperoncino e portare in tavola nel suo coccio. Distribuire poi in cocotte individuali, regolandone a gusto l'umidità con l'aggiunta o meno del suo brodino di fondo e accompagnando con fette di pane rustico abbrustolite.
- rivoli affluenti:
- Di Lello Antonio, Stanziani Antonio, Cucina Tradizionale Abruzzese nelle ricette dei grandi cuochi di Villa Santa Maria, Carsa Edizioni, 2013, ISBN 978-88-85854-65-9
- Flandrin Jean-Louis, “L’alimentazione contadina in un’economia di sostentamento”, in Flandrin Jean-Louis, Montanari Massimo (cura), Storia dell’alimentazione, Editori Laterza, 1996, ISBN 88-420-5347-3
- Teti Vito, Il colore del cibo. Geografia, mito e realtà dell'alimentazione mediterranea, Meltemi, 1999, 2007, 2019, ISBN 978-88-8353-992-3
- l'immagine della scultura è presa dal catalogo degli Uffizi, quella della camera della regina dal loro sito; l'immagine del disegno di Pagliaccetti viene da qui; la foto dello chef Franco Pepe dalla sua pagina Facebook.
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